Guida alla gestione economica di un ristorante

Sono sempre stato estremamente attratto dai numeri.

Il fascino che hanno su di me deriva dall’estrema oggettività e dall’estrema precisione che sanno dare al messaggio.

Da Manager ho avuto la possibilità di modificare le cose intorno a me per vedere l’impatto che avrebbero prodotto.

Ma serviva uno strumento oggettivo di valutazione, che mi permettesse di capire se quello che avevo pensato e fatto avrebbe creato il giusto impatto e si sarebbe tramutato esattamente nel risultato che volevo raggiungere.

Erano il termometro , la cartina tornasole, la migliore review che avrei potuto avere per valutare il mio lavoro: trasparenti, immediati, sempre presenti.

E il bello è che stava solo a me imparare a gestirli e cambiarli in base ai miei obbiettivi e alle mie azioni.

I numeri erano diventati i miei più grandi collaboratori perché, come nella migliore delle relazioni, sapevano essere sinceri e regalarmi gioie o dolori in base all’impegno che avevo messo nel gestire la relazione con essi.

Uno strumento potentissimo da saper gestire dal quale non mi sarei mai più separato.

Le basi del conto economico in ristorazione

Tranquilli non vi farò annoiare!

Avete letto la prefazione quindi avrete già intuito che state per leggere una storia, e tra le righe di questa troverete inaspettatamente gli elementi che compongono un conto economico, vogliamo vedere??

La storia, capitolo 1: le sales (vendite)

Il primo approccio significativo alla prima voce del conto economico, le vendite, l’ho avuto intorno a 23 anni.

Era il primo giorno di lavoro nella nuova azienda, ero stato assunto come responsabile di un reparto di produzione di focacce e pizze in un grande locale self service/bar. 

lo Store Manager di punto vendita è subito corso nel mio reparto e, con fare molto risoluto, ha appeso al muro il suo personale record di incasso giornaliero generato in quel reparto dicendomi:

“Visto che dici di essere così bravo vediamo ora cosa sai fare!”

E se ne andò velocemente.

Una sfida diretta, chiara, precisa.

Non male come inizio.

All’epoca ero già molto sicuro delle mie capacità perché avevo già maturato 7 anni di esperienza in quel lavoro, ma di fronte ad una simile sollecitazione non potevo che rispondere andando oltre al mio normale standard lavorativo.

In meno di un mese avrei affrontato il giorno perfetto per dimostrarlo perché si stavano avvicinando i saldi invernali: per un Outlet il momento con maggior footfall (numero di clienti) presenti nello store.

La giornata finalmente è arrivata ed è stata impegnativa, iniziata verso le 5 del mattino e terminata intorno alle 22 di sera: una di quelle giornate in cui noi operativi ci sentiamo degli “eroi” perché resistiamo e non molliamo mai.

La mattina dopo, di buon’ora non aspettavo altro che ricevere la stampa del risultato delle vendite generate dal mio reparto… sono passati un paio di decenni da allora e non ricordo con esattezza, ma polverizzai il record precedente con una crescita di oltre il 100%.

Avevo vinto, vinto alla grande, e in quel preciso momento fui certo che il mio manager potesse avere una considerazione diversa di me e io mi diedi nuovamente conferma di saper centrare un obiettivo.

Forse tutto parti da lì: in quel momento avevo capito quanto un singolo numero potesse essere oggettivo ed importante per me e per gli altri.

La storia, capitolo 2: cost of sales (costo delle materie prime)

Qualche tempo dopo venni chiamato per “fare le ricette” insieme a dei colleghi che lavoravano nel controllo di gestione.

Ossia pesare gli ingredienti utilizzati per ogni singola porzione di ogni ricetta.

Fin lì nulla di nuovo, lo avevo studiato durante la scuola professionale ed ero abituato ad utilizzare le bilance per il mio lavoro.

Capii solo dopo che applicando il costo di acquisto dei vari ingredienti potevamo calcolare il costo teorico della ricetta, che rapportato al prezzo di vendita netto portava ad avere il costo della materia prima in percentuale (questo a scuola non lo avevano insegnato!!!)

Mi ricordo anche che vendevamo tonnellate di un certo antipasto: ci davamo molto da fare per cercare di non rimanere mai senza e di metterlo in bella mostra per venderne più possibile perché era uno dei piatti più apprezzati dalla nostra clientela.

Rimasi letteralmente scioccato quando compilando la scheda di costo del piatto scoprimmo che per ogni piatto venduto perdevamo qualcosa come 50 centesimi cadauno!

Sì, gli ingredienti costavano più del prezzo di vendita! Pensai subito a quanto impegno stessimo mettendo… per perdere soldi!!!!

Esattamente in quel momento mi resi conto quanto fosse importante conoscere il costo delle materie prime di un dato prodotto di vendita.

E il bello era che non era ancora finita..

Col tempo capii che vi erano altre due variabili che incidevano ulteriormente nel costo del prodotto:

1) gli scarti (prodotti invenduti o rotti o scaduti)

2) le differenze inventariali (furti, ricette non rispettate, errori di conteggio)

In breve le “dispersioni”.

Ma quanto stavamo perdendo ad ogni piatto allora?

Facendo “le ricette” capii anche altri aspetti soprattutto nel reparto cucina.

Ad esempio decongelando due confezioni di peso uguale di seppie di diversi fornitori si otteneva un prodotto sgocciolato di pesi diversi.

La chiamano glassatura (ossia quanto ghiaccio attaccano al prodotto!!) e lì capii in maniera molto immediata cosa fosse la resa di ogni singolo ingrediente e quanto potesse far variare il costo…

Sta di fatto che iniziavo a comprendere che il costo delle merci era un valore di tutto rispetto, con molte variabili da tenere sotto controllo anche perché mediamente incideva dal 25% al 30% del fatturato netto generato (sia chiaro si può fare di meglio, e di peggio).

Sales (Vendite)

— cost of goods (costo delle materie prime)

= “gross margin” o “gross profit” (primo margine)

La storia, capitolo 3: labour cost (costo del personale)

Poi arrivò l’amore: un colpo di fulmine micidiale.

L’incidenza del costo del lavoro mi ha fin da subito attratto come il fuoco alla falena.

Un magnetismo irresistibile.

Il costo del personale è la percentuale di costo più consistente, che oscilla dal 30 al 40% (anche qui si può far molto meglio, e molto peggio).

Ed è proprio questo numero che attirava tutta la mia attenzione perché potenzialmente è dove si può portare il maggior risultato.

Ma è una materia estremamente complessa, ha a che fare con le persone, con la legislazione, con le vendite, con la psicologia e la sociologia.

Fu subito chiaro che non bastava tagliare e ricucire, le variabili da gestire sarebbero state infinite e le competenze da dover acquisire e padroneggiare sarebbero state molto più complesse del previsto.

Un numero che racchiude al suo interno vite di persone, nostri simili.

E per questo sarebbe stata necessaria etica e responsabilità: si gestiscono e si toccano le vite di altre persone.

Sarebbe stata una perenne lotta con le esigenze economiche e i valori etici.

Capii ben presto che la gestione del costo del personale è un sapere olistico.

Che va ben oltre alla gestione di un semplice numero, ma sarebbe stato un viaggio all’interno di un ecosistema tecnico-umano e non vedevo l’ora di iniziare.

Sales (Vendite)

— cost of goods (costo delle materie prime)

= “gross margin” o “gross profit” (primo margine)

— labor cost (costo del personale)

= “contribution margin” (margine di contribuzione)

La storia capitolo 4: variable, fixed, ebitda store (costi variabili, fissi e ebitda)

Quando diventai Operations Manager (o capo area se preferite) in fase di rendicontazione del Budget (che è un documento economico previsionale) mi furono appioppate una serie di responsabilità e di voci di spesa.

Molte delle spese variabili oggettivamente che mi sono trovato a gestire:

  1. le manutenzioni: fino a quel momento non avevo mai posto molta attenzione al lavoro dei manutentori riponendogli molta fiducia, ma mi accorsi ben presto che non controllandoli mediamente mettevano un’ora in più di quanto fatto in bolla, oppure venivano, non risolvevano il problema con una scusa  ma si facevano pagare la chiamata. Potevo sicuramente stargli addosso ed ottenere risultati migliori.

  2.  le spese per l’acquisto dei prodotti quali carta o detersivi: anche qui potevo migliorare la mia gestione partendo dallo stoccaggio (alcune volte pile di detersivi cadevano e si spargevano per tutto il pavimento.. capii cosa volesse dire nel momento in cui vidi il costo al litro di quei prodotti!!!)

Lo stesso valeva per la minuteria (tazzine, bicchieri, piatti), le divise del personale, la cancelleria… è incredibile come, ponendoci l’attenzione, si possano ridurre drasticamente le dispersioni.

Di per sé ognuna di queste voci valeva uno zero virgola…  ma tutte assieme facevano una percentuale che diventava importante: tutte queste spese variabili potevano infatti incidere dal 5 al 10% del fatturato netto.

Ma non era ancora finita. Nella sala riunioni della mia azienda mi veniva spiegato che vi erano altri costi fissi da dover sostenere , parliamo principalmente di affitto, utenze, assicurazioni che cubano dal 15 al 20% del fatturato netto.

Sales (Vendite)

— cost of goods (costo delle materie prime)

= “gross margin” o “gross profit” (primo margine)

— labor cost (costo del personale)

= “contribution margin” (margine di contribuzione) - variable (costi variabili)

— fixed cost (costi fissi) = “ebitda store”

E finalmente la riga finale del conto economico di punto vendita, la più importante: sua maestà l’ebitda store!

Ossia banalmente quanto rimane dopo aver sottratto tutti i costi dello store dal fatturato netto generato.

L’ebitda store ci fa capire quanto è profittevole il nostro format o il nostro ristorante.

Si, ma quanto deve essere?

Per essere interessante per un investitore o possibile acquirente dobbiamo essere in grado di arrivare ad avere ebitda del 20%.

Se vuoi saperne di più ti aspetto nel prossimo articolo “l’incidenza del costo del lavoro nella ristorazione italiana”!

A presto,

Francesco

Indietro
Indietro

Software gestionali per la ristorazione: ecco i 5 migliori

Avanti
Avanti

Quanto si guadagna con un ristorante?